La donna e la civiltà

Esistono due evoluzioni nell’uomo che in sostanza vanno di pari passo, seppur apparentemente indipendenti tra di loro. Vi è il progresso scientifico che va dalla ruota, dall’arco alla navicella spaziale, sommatoria infinita di tanti anelli collegati tra di loro, in guisa tale che l’arco, od il fuoco generato dall’abilità umana, risulta intimamente legato al mondo d’oggi fatto di laser, informatica o quant’altro. Esiste poi l’evoluzione del pensiero umano. Analizzando questo aspetto si può constatare che l’evoluzione del pensiero è certamente dominata dall’etica, qualità questa che è sempre esistita ma che l’ambiente ha fuor di dubbio condizionato. Il progresso io credo migliorando le condizioni di vita implicitamente fa emergere anche quelle intrinseche virtù. Evoluzione del pensiero e progresso non sono la stessa cosa ma certamente sono concilianti tra di loro non antitetici. L’umanità nell’arco dei millenni ha subìto un radicale dirozzamento passando dall’antropofagia, certamente diffusa nelle epoche preistoriche, al concetto di egualitarismo che domina l’uomo dell’età moderna e contemporanea, questa a far data dall’epoca dei lumi. Egualitarismo significa eguaglianza dei diritti sociali, eguaglianza della ricchezza, tolleranza o meglio libertà di pensiero, eguaglianza delle razze, abolizione della schiavitù, pari dignità alla donna. Quest’ultimo punto io credo sia fondamentale e determinante onde poter valutare il grado di civiltà di un popolo. Dando uno sguardo alla storia delle civiltà antiche si può constatare agevolmente e credo senza ombra di dubbio che la civiltà egiziana è stata quella ove la donna ha goduto il massimo grado di equiparazione in seno alla società. La donna occupava un posto importante in seno a quella società, godeva di ampi diritti ed il soffermarmi in tal sede su di una esposizione degli stessi a me pare superfluo. Champollion ebbe ad affermare che la civiltà di un popolo la si valuta in base alla posizione che ha la donna in seno alla società. Tale affermazione era in pratica una risposta esaustiva a chi gli chiedeva un giudizio sulla civiltà egiziana. E’ evidente che lo Champollion si faceva forte e direi paladino proprio del modus vivendi emerso dall’analisi della storia stessa dell’Antico Egitto. In queste brevi note mi vorrei al contrario soffermare un attimo su altre civiltà coeve o quasi dell’egizia. Da quest’analisi emerge, io credo senza alcun appello, che in seno alle antiche grandi civiltà quali la babilonese, l’assira, la persiana o la greca la donna non era che un oggetto o poco più. Uno strumento di cui si serviva l’uomo per aver figli, far da mangiare, allevare la prole in tenera età e dulcis in fundo soddisfare le proprie voglie. Punto e basta, un bene oggetto di scambio senza alcun valore sotto il profilo di “dignità umana”. Bisogna aspettare l’epoca delle matrone romane per rilevare qualche segnale di evoluzione, ma la strada dall’Antica Roma in poi per la donna è stata sempre molto irta e difficile da percorrere. Il mondo d’oggi docet e non intendo soffermarmi su di esso perché troppo di pubblico dominio. Torno alle antiche civiltà quali la babilonese. Babilonia è stata il centro del mondo di due-tre millenni orsono, certamente la più grande civiltà del tempo assieme all’egizia. Desidero a questo punto raccontare quanto ci dice Erodoto (cfr. Le Storie III – 150) su di un fatto accaduto nel VI sec. a.C. e che da solo ci può illuminare io credo più di qualsiasi altro. E’ sì vero che lo storico di Alicarnasso deve esser preso talvolta con le molle essendo sovente forse esagerato nella descrizione dei fatti, ciò nondimeno al di là di qualche enfasi o esagerazione restano i fatti storici descritti che fino a prova contraria devono esser accettati sic et simpliciter. Orbene questi i fatti: intorno al 520-521 a.C. la Satrapìa babilonese si era ribellata al Re Dario. Volendo riconquistare la libertà perduta dopo l’invasione persiana operata da Ciro il Grande anni addietro, gli abitanti cacciarono i satrapi e gli emissari persiani da Babilonia. Prevedendo un sicura reazione i babilonesi, onde risparmiare sul cibo in previsione di un lungo assedio, ritennero opportuno, radunate le donne della città, strozzarle tutte (sic!). Furono risparmiate solo le madri e per ciascun gruppetto una donna avente la funzione di far da mangiare e forse soddisfare le intime voglie del gruppo. Si tenga presente che Babilonia, all’epoca la più grande città del mondo, doveva contare almeno sui duecentomila abitanti, per l’epoca una cifra enorme. Gli studiosi parlano di un eccidio perpetrato non inferiore alle 50-60mila donne (tenendo conto delle risparmiate e delle madri). La prova di quanto detto ce la da lo stesso Erodoto il quale successivamente racconta quanto segue (cfr. Le Storie III-159): avendo Dario riconquistato Babilonia, onde ricostituire un egual numero di donne nella città, impose di far trasferire dalle località vicine a Babilonia ben 50.000 donne. Da tali donne “discendono i babilonesi che vivono oggi” (alludendo al secolo successivo in cui visse lo storico). Al di là dei numeri come detto, resta il fatto di per se stesso. I babilonesi consideravano le donne dei semplici oggetti da sfruttare come il bestiame od altro. Punto e basta. Non esistono né se né ma in proposito, anzi il bestiame non fu di certo ucciso perché era utile al loro sostentamento. Qualcuno si è mai chiesto del perché non esiste una iconografia muliebre tra i popoli mesopotamici, né persiani od assiri? Le immagini infatti del gentil sesso sono estremamente limitate ed in genere riservate alle divinità. La risposta è semplice e lapidaria: la donna in quanto entità inferiore rispetto all’uomo non è meritevole di esser effigiata. Più altrove Erodoto racconta (cfr. Le Storie V – 5): che alcune popolazioni della Tracia (ad oriente della Grecia) hanno l’usanza di avere molte mogli. Quando muore l’uomo, vi è una speciale “commissione” atta a valutare quale tra le mogli era più meritevole del marito. Costei viene sgozzata e sepolta assieme al marito. Le altre “che non sono state scelte, si ritengono colpite da una grande disgrazia, poiché è questa la massima vergogna che possa loro toccare”. Senza parlare di alcune popolazioni della Libia (l’attuale nord Africa ad occidente dell’Egitto) che si congiungono alla stregua degli animali, prendendo la donna come “oggetto”. Al punto tale, è sempre Erodono che parla, che i nati da queste unioni vengono riconosciuti dai padri solo dopo due o tre mesi in base alla somiglianza del bambino. In Cina (altra grande civiltà del passato) le mogli e concubine sovente dovevano, alla morte dell’uomo padrone, suicidarsi strozzandosi con una sciarpa di shantoong, senza parlare poi del triste ed ancor recente suttee indiano. In Grecia non si arrivò alle efferatezze dei babilonesi, dei persiani o dei traci, ma la donna non contava semplicemente “nulla”. Era animale da letto avente la finalità suprema del procreare, allevare la prole e custodire la casa ove era costantemente relegata. Ricordiamoci che le stesse vicende dell’Iliade furono generate da Elena, cioè un oggetto rubato ai greci e condotto a Troia. Sarebbe troppo lungo continuare l’elenco interminabile di fatti, usi, costumi e soprusi dell’antichità tutti concordanti nel confermare lo status sociale infimo ed insignificante della donna. Di fronte ad un contesto del genere emerge la civiltà egizia ove basterebbe la sola iconografia per dimostrarci che cosa realmente rappresentava la donna in seno a quella società veramente unica. Una civiltà ove era d’uso invocare la dea Hathor “affinché procurasse un focolare alla vergine ed uno sposo alla vedova”.